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Per iniziare una psicoterapia bisogna trasformare la domanda di psicoterapia

“Debbo fare una psicoterapia”, “voglio fare una psicoterapia”, “il mio compagno dice che  mi occorre una psicoterapia”. Sono tutte frasi che avete sentito pronunciare molte volte.

Indicata in questo modo la psicoterapia somiglia a un prodotto di consumo psico/sanitario: qualcosa che ci tocca o decidiamo di fare con lo scopo di sbarazzarci di un certo fardello della vita.

La psicoterapia è altro e non è mia intenzione discorrere qui di che cosa sia una psicoterapia ma, piuttosto, cosa fa si che che questa possa davvero iniziare.

C’è un prima dell’inizio della psicoterapia, non meno importante di questa che ne è il necessario viatico. Per iniziare c’è una domanda di psicoterapia, infatti è il paziente che rintraccia il terapeuta, che si reca presso il suo studio, che cerca una presenza che assuma la forma dell’aiuto.

Ma la domanda non è condizione sufficiente per iniziare una psicoterapia. La domanda è l’inizio, ma questa deve essere processata, trasformata, affinché la psicoterapia possa davvero avviarsi. Per essere precisi la domanda deve subire due trasformazioni.

La prima concerne la posizione del candidato alla psicoterapia che si dichiara sostanzialmente innocente rispetto al sintomo o al mal d’essere che patisce. “Qualcosa dentro” di lui, ma che non è lui, opera per angustiargli l’esistenza. Certo ammette responsabilità, ma generiche, e in filigrana si autoassolve e si compiange. Di fronte a questa posizione è necessario attuare una torsione etica che scalzi il paziente dalla posizione di soggetto innocente vittima della sofferenza di cui patisce e rimette al terapeuta la “remissione” di questa. Quindi si tratta di attuare una trasformazione etica della domanda in cui il paziente deve intendere, senza aver ancora compreso, il ruolo personale che ha nel fabbricare e preservare la sua sofferenza.

La seconda correzione della domanda, che si può indicare come trasformazione euristica, mira invece ad aprire nel soggetto un’interrogazione sulla causa della sua sofferenza. Si deve transitare dalla volontà di risolvere al desiderio di comprendere ciò da cui origina la sofferenza. In questa prospettiva deve diventare più importante la “verità della causa” rispetto all’estirpazione del sintomo. La volontà di sapere deve prevalere sulla volontà di guarire.

Questa ultima affermazione rischia di sembrarci un paradosso perché viviamo tutti nel tempo in cui la mancanza e l’attesa sono figure dell’assurdo da evitarsi, mentre una psicoterapia per iniziare deve operare la trasformazione della domanda (euristica ed etica) del paziente, lavoro preliminare che lo proietta in un orizzonte di responsabilità e di attesa diverso da quello per cui ha bussato alla porta del terapeuta.

Se questa trasformazione della domanda non avviene, se il terapeuta collude con l’illusione del paziente, la psicoterapia ha le gambe di argilla, ha fiato corto e verrà rottamata non appena perderà lo splendore della promessa di soluzione. Qui è forse la ragione di tante psicoterapie interrotte senza mai essere davvero iniziate.

Carlo Rosso

24 novembre 2018

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